Negli ultimi anni gli affitti brevi – come bed & breakfast (B\&B), case vacanze o attività di affittacamere – sono diventati una fonte di reddito molto diffusa per i proprietari, soprattutto nelle città turistiche e nei centri storici. Queste attività permettono di monetizzare spazi altrimenti inutilizzati, generando introiti spesso superiori alla locazione tradizionale. Tuttavia, la convivenza con gli altri condomini non è sempre facile: la presenza di ospiti frequenti può portare rumore, un uso intenso degli spazi comuni (ascensore, scale) e un viavai di estranei percepito come un elemento di insicurezza. Alcuni condomini temono perfino una svalutazione degli immobili dovuta alla continua attività ricettiva nell’edificio.
Di fronte a questi timori, molti condomìni si interrogano su quali strumenti legali abbiano per vietare o limitare gli affitti brevi nel proprio stabile, cercando un equilibrio tra il diritto del proprietario di utilizzare il suo appartamento e l’esigenza di garantire tranquillità e decoro all’edificio. Una recente sentenza ha fatto chiarezza su questo delicato tema, stabilendo quando è possibile bloccare B\&B e affittacamere in condominio in presenza di specifiche clausole nel regolamento condominiale. Vediamo nel dettaglio cosa dice la legge, cosa ha deciso questa sentenza e quali sono le implicazioni pratiche per proprietari e vicini.
La sentenza di Roma: stop a B&B e affittacamere se c’è il divieto nel regolamento
Una recente decisione della Corte d’Appello di Roma (sentenza n. 3419 del 2 giugno 2025) ha confermato che un condominio può ottenere la chiusura di attività di B\&B o affittacamere all’interno dell’edificio se il regolamento condominiale contrattuale contiene clausole che lo vietano. Nel caso esaminato, il condominio aveva citato in giudizio due proprietari (e le società conduttrici che gestivano le attività ricettive nei loro appartamenti) sostenendo che tali attività violavano il regolamento. Quest’ultimo infatti, all’art. 4, impediva di destinare gli immobili ad attività produttive, commerciali, pubbliche o aperte al pubblico e vietava di locare le unità per periodi inferiori a sei mesi. In altre parole, il regolamento dello stabile proibiva sia l’esercizio di attività imprenditoriali negli appartamenti, sia gli affitti di breve durata (meno di 6 mesi).
Il tribunale di primo grado aveva dato ragione al condominio, ordinando la cessazione immediata delle attività di affittacamere e B\&B nell’edificio. I proprietari e gli operatori condannati hanno fatto appello, ma la Corte d’Appello di Roma ha rigettato il ricorso, confermando la chiusura delle strutture ricettive illegittime. Questa sentenza rappresenta un importante precedente per tutti i condomini: chiarisce infatti che, se esistono specifici divieti nel regolamento contrattuale, gli affitti brevi possono essere bloccati legalmente dal condominio.
Regolamento contrattuale: la chiave per imporre limitazioni
Un punto centrale emerso dalla vicenda è la natura del regolamento condominiale contrattuale. Si definisce così quel regolamento approvato all’unanimità da tutti i condòmini (ad esempio predisposto dal costruttore e accettato al momento dell’acquisto di ogni unità) e che dunque ha natura di accordo contrattuale vincolante per tutti. Solo un regolamento di questo tipo può imporre validamente limitazioni ai diritti dei proprietari sulle proprie unità immobiliari (ad esempio vincoli alle destinazioni d’uso). Un regolamento adottato a maggioranza, invece, non può introdurre divieti che incidano sul diritto del singolo di usare la propria proprietà, trattandosi di decisioni che richiedono l’accordo di tutti.
Nel caso di Roma, il regolamento condominiale aveva natura contrattuale: fu approvato all’unanimità nel 2003 e persino trascritto nei registri immobiliari (atto che serve a renderlo opponibile anche ai futuri acquirenti). La Corte d’Appello ha ribadito principi già affermati dalla giurisprudenza: clausole di questo tipo, se chiare ed esplicite e accettate specificamente da tutti i condomini, possono limitare le facoltà dei proprietari sulle loro unità ed essere fatte valere contro di loro (nonché contro eventuali inquilini ed eredi). In particolare, i giudici hanno sottolineato due condizioni di validità: le clausole limitative devono essere formulate in modo univoco e devono essere richiamate integralmente negli atti di acquisto e nei contratti di locazione, non bastando un generico rinvio al regolamento. Questo principio, peraltro, era già stato chiarito dalla Corte di Cassazione con una pronuncia del 2022: le restrizioni d’uso contenute in un regolamento contrattuale costituiscono delle vere e proprie servitù reciproche tra condomini, e per essere opponibili ai terzi acquirenti vanno trascritte nei registri immobiliari (ex art. 2643 n.4 e 2659 c.c.).
In altre parole, se il regolamento condominiale (di natura contrattuale) contiene un divieto chiaro – ad esempio “è vietato adibire gli appartamenti ad attività ricettive” oppure “vietato affittare per periodi sotto i 6 mesi” – tale divieto vincola tutti i condomini attuali e futuri. Il condominio, in caso di violazione, può adire le vie legali e il giudice potrà ordinare la cessazione dell’attività incompatibile con le regole comuni.
B\&B e affittacamere: attività “produttive” o uso abitativo?
Un aspetto interessante chiarito dalla Corte d’Appello riguarda la natura delle attività di B\&B e affittacamere. I proprietari sanzionati si erano difesi sostenendo, in sostanza, che stavano semplicemente affittando le loro unità – diritto normalmente spettante a qualunque proprietario – e che l’uso rimaneva “abitativo”. In realtà, dalle indagini è emerso che tali affitti, sebbene formalmente presentati come locazioni, includevano servizi tipici di una struttura ricettiva: pulizia regolare dei locali, cambio di biancheria, accoglienza clienti, pubblicità online come B\&B, ecc..
Secondo la Corte, queste caratteristiche fanno sì che l’attività di affittacamere/B\&B assuma connotazione imprenditoriale (richiamando la definizione di imprenditore ex art. 2082 c.c.) e non possa più essere equiparata al mero godimento di un normale contratto di locazione. In altre parole, gestire un B\&B in condominio non equivale a “abitare” l’appartamento, ma significa esercitare un’attività economica (se vengono forniti servizi e c’è un’organizzazione a scopo di lucro). Pertanto, se il regolamento condominiale vieta attività produttive o commerciali negli appartamenti, tale divieto si estende anche a B\&B, affittacamere e formule simili di affitto breve con servizi.
Questo concetto era stato affermato anche in precedenza dalla Corte di Cassazione. Già in una sentenza del 2016, la Cassazione dichiarò che “ontologicamente l’attività di affittacamere è del tutto sovrapponibile – in contrapposto all’uso abitativo – a quella alberghiera e, pure, a quella di bed and breakfast”. In sostanza, per quella giurisprudenza, avviare un B\&B in condominio equivale a trasformare l’uso dell’unità da residenziale a ricettivo, analogamente a un piccolo albergo.
Va segnalato, però, che non tutti i giudici negli anni hanno avuto la stessa visione. Altri precedenti di Cassazione hanno sostenuto un orientamento opposto: ovvero che l’esercizio di un B\&B o di affittacamere non modifica la destinazione d’uso civile abitativa dell’appartamento. Ad esempio, una sentenza del 2014 ha ritenuto “inammissibile un’interpretazione estensiva” di una clausola del regolamento che vietava usi diversi dall’abitazione privata: secondo la Corte, anche con quella clausola, l’attività di B\&B doveva considerarsi comunque consentita in quanto l’immobile restava destinato ad abitazione, seppur con ospiti paganti. Allo stesso modo, un’altra pronuncia del 2017 ha stabilito che il divieto di usare gli appartamenti come pensione o albergo non impedisce di affittarli per brevi periodi in modo saltuario, perché la locazione breve occasionale non rientra necessariamente nel concetto di attività alberghiera vietata.
Di fronte a questi orientamenti contrastanti, emerge quanto sia importante la formulazione specifica delle clausole regolamentari e la valutazione caso per caso. Una clausola generica che si limiti a vietare usi diversi da quello di civile abitazione potrebbe prestarsi a interpretazioni diverse (lasciando un margine in cui l’attività di casa vacanze/B\&B potrebbe essere considerata lecita). Viceversa, un regolamento che elenca espressamente le attività proibite – ad esempio vietando “case di alloggio, pensioni, affittacamere, bed & breakfast” oppure “locazioni inferiori a X mesi” – riduce drasticamente le ambiguità e sarà molto più efficace nel prevenire l’avvio di affitti brevi nel condominio. La recente sentenza di Roma si colloca chiaramente nel filone più restrittivo: quello per cui, se il divieto è scritto nero su bianco ed è contrattualmente valido, prevale sul diritto del singolo proprietario di mettere a reddito il proprio immobile.
Il caso di Milano: risarcimento danni per la proprietaria “ribelle”
Un altro caso emblematico, segno della crescente tensione su questo tema, si è verificato a Milano. Qui una proprietaria aveva avviato un B\&B nel suo appartamento nonostante il regolamento condominiale vietasse espressamente l’uso degli immobili per attività ricettive di tipo alberghiero. I vicini, dopo ripetuti tentativi di far cessare l’attività, hanno portato la questione in tribunale. La donna in un primo momento era stata condannata in sede civile a pagare una penale di 100 euro per ogni giorno di attività svolta in violazione del regolamento. Poiché il B\&B è rimasto aperto a lungo durante la causa, la somma accumulata ha superato i 40.000 euro, somma dovuta al condominio come risarcimento. La proprietaria ha impugnato la decisione fino in Cassazione, ma anche la Cassazione ha confermato il principio già espresso nei gradi precedenti: un regolamento condominiale unanime può legittimamente vietare l’avvio di attività ricettive (B\&B, affittacamere, locazioni turistiche) nell’edificio, e la violazione di tali divieti può comportare sanzioni pesanti per il proprietario inadempiente.
Questo episodio sottolinea concretamente quali possano essere le conseguenze pratiche di una violazione: non solo l’obbligo di chiudere l’attività non autorizzata, ma anche il rischio di dover risarcire economicamente il condominio. Nel caso di Milano la clausola violata vietava “l’uso degli appartamenti per attività ricettive di tipo alberghiero”, formulazione che la Cassazione ha ritenuto comprensiva anche dei B\&B (confermando un orientamento ormai consolidato, come visto sopra). Va notato che, per rendere opponibili clausole simili ai futuri acquirenti, è essenziale la trascrizione del regolamento con tali vincoli come già accennato: difatti la legge (art. 2659 c.c.) prevede che limitazioni all’uso degli immobili, avendo natura di oneri reali, siano efficaci verso terzi solo se risultano dai registri immobiliari. Nel caso milanese, questo requisito era soddisfatto, rendendo la clausola vincolante e la sanzione applicabile anche a chi aveva acquistato e avviato successivamente l’attività.
Implicazioni pratiche per proprietari e condomini
Cosa significa, in concreto, tutto ciò per i proprietari di case vacanze e per gli abitanti dei condomìni? Ecco alcuni punti chiave da tenere a mente:
Verificare sempre il regolamento di condominio: Chi intende affittare a turisti il proprio appartamento deve anzitutto controllare se esiste un regolamento condominiale contrattuale e cosa prevede. In particolare, occorre cercare clausole che vietano espressamente attività ricettive, affitti brevi o usi non residenziali. Se il regolamento contiene frasi come “divieto di destinare l’unità a bed & breakfast, pensione, affittacamere” o “divieto di locazioni inferiori a 6 mesi”, bisogna essere consapevoli che quell’attività sarebbe vietata e gli altri condomini potrebbero agire legalmente per bloccarla. In caso di clausole ambigue, è prudente consultare un legale: a volte diciture generiche (“solo uso civile abitazione”) possono essere interpretate dai giudici in modo difforme, come abbiamo visto.
Un’assemblea condominiale non basta per vietare gli affitti brevi: Se nel vostro stabile non c’è un divieto nel regolamento e un gruppo di condomini vuole introdurlo, non è sufficiente una delibera a maggioranza. Servirà una decisione unanime e la modifica formale del regolamento condominiale (meglio se con atto notarile da trascrivere, così da vincolare anche i futuri proprietari). Solo così la restrizione sarà valida ed efficace ultra partes. Qualsiasi divieto imposto senza l’accordo di tutti rischierebbe di essere annullato se impugnato, perché limitativo del diritto di proprietà dei dissenzienti.
Tolleranza e comportamenti concludenti: Alcuni proprietari potrebbero pensare che, iniziando l’attività in piccolo e vedendo che nessuno si oppone, ciò equivalga a un “via libera”. In realtà, come chiarito dalla Corte d’Appello di Roma, la tolleranza iniziale del condominio non legittima l’attività contraria al regolamento né modifica implicitamente le regole comuni. Dunque, anche se per mesi nessuno si lamenta, un vicino potrebbe sempre cambiare idea e far valere la clausola violata. D’altro canto, un proprietario contrario agli affitti brevi non dovrebbe “dormire sugli allori”: se ritarda troppo nell’agire, potrebbe rendere più difficile ottenere provvedimenti urgenti; è bene segnalare subito per iscritto l’irregolarità e poi, se necessario, adire le vie legali.
Inquilini e società di gestione sono vincolati dalle stesse regole: Spesso i proprietari affittano la propria unità a società o a gestori professionali, che poi la subaffittano a turisti. È importante sapere che le clausole del regolamento si estendono anche ai conduttori (affittuari) se questi le hanno accettate nel contratto di locazione. Ad esempio, nel caso di Roma le imprese che gestivano gli affittacamere erano conduttrici in base a contratti di locazione, nei quali il regolamento condominiale era richiamato: ciò ha reso le clausole pienamente opponibili anche a loro, che infatti sono state costrette a cessare l’attività ricettiva. Pertanto, stipulando un contratto di locazione ad uso diverso (o transitorio) per permettere a terzi di gestire un B\&B, il proprietario deve comunque informare il conduttore di eventuali divieti esistenti: ignorarli espone entrambi al rischio di azioni legali.
Attenzione alla normativa locale: Oltre alle regole di condominio, chi opera affitti brevi deve rispettare le normative comunali e regionali. In molte città d’arte sono stati introdotti obblighi di registrazione (come il Codice Identificativo Regionale per le locazioni brevi) e tetti al numero di giorni affittabili, oppure ancora l’imposta di soggiorno e controlli dedicati. Queste norme pubbliche esulano dall’ambito condominiale, ma completano il quadro degli adempimenti. Una cosa è certa: la legge statale in sé consente al proprietario di affittare per brevi periodi (entro 30 giorni, senza necessità di registro contratti), ma ciò non immunizza dall’osservare sia i regolamenti di condominio sia eventuali regolamenti comunali più restrittivi.
Commenti di esperti ed evoluzioni future
Il crescente fenomeno degli affitti brevi ha attirato l’attenzione non solo dei giudici ma anche di associazioni di categoria e legislatori. Agostino Ingenito, presidente dell’Associazione B\&B e Affittacamere (ABBAC), osserva che l’attività di affittacamere e B\&B è in costante espansione, tanto da essere oggetto di nuovi provvedimenti amministrativi a livello locale, “non senza contrasti e polemiche”. Egli consiglia dunque prudenza prima di avviare un’attività ricettiva in condominio, data la complessità delle normative regionali e dei regolamenti condominiali, invitando a farsi assistere da esperti per valutare i singoli casi.
Dal lato politico, non si escludono in futuro interventi normativi più chiari: ad esempio, qualcuno propone di inserire esplicitamente nel codice civile la facoltà per i condomini di vietare affitti brevi con determinate maggioranze, o al contrario di tutelare i proprietari vietando restrizioni troppo punitive. Per ora, però, la linea emersa dalle sentenze recenti è che la tutela dell’autonomia privata condominiale prevale: se tutti i condomini di uno stabile concordano su regole stringenti anti-B\&B, tale volontà viene rispettata e fatta valere in tribunale. D’altro canto, in assenza di un divieto contrattuale chiaro, il proprietario rimane libero di utilizzare la propria unità anche per locazioni brevi, purché nel rispetto delle leggi e del buon vicinato.
Conclusioni
In conclusione, affittare un appartamento ai turisti in condominio può essere un’ottima opportunità economica, ma va fatto con cognizione di causa. Le sentenze recenti – dalla Corte d’Appello di Roma alla Cassazione – ci insegnano che il condominio ha strumenti efficaci per opporsi agli affitti brevi, a patto di avere le regole giuste già scritte nero su bianco. Il proprietario interessato a queste attività deve quindi muoversi con cautela: un controllo preventivo del regolamento e magari un confronto con i vicini possono evitare di incorrere in liti giudiziarie costose. Dall’altro lato, i condomini preoccupati per possibili B\&B nel proprio stabile farebbero bene a verificare lo stato del regolamento e, se necessario, adoperarsi per aggiornarlo con clausole ad hoc, approvate da tutti e ben formulate. Solo così si potrà garantire quel “quieto vivere” condominiale senza impedire del tutto l’iniziativa economica individuale, bilanciando diritti e doveri di ciascuno. In definitiva, la parola d’ordine è equilibrio: conoscere le regole del gioco permette di trovare soluzioni che concilino la redditività degli affitti brevi con il rispetto della vita in condominio.